Il Ghetto

STORIA DELLA PRESENZA EBRAICA A ROMA

Nell’anno 70 d.C. in conseguenza alla conquista di Gerusalemme e alla distruzione del suo tempio comincia la diaspora degli ebrei in tutto il mondo. A partire dal famoso editto di Costantino del 313 d.C. inoltre iniziano le discriminazioni nei loro confronti dovute a pregiudizi di carattere religioso, le quali si aggravano notevolmente in seguito, nel corso del Medioevo.

Nei primi anni del Seicento a Roma vivono circa 1750 ebrei, riunitisi qui soprattutto a causa delle espulsioni dalla Spagna, dal Portogallo e dal Regno di Napoli. Ciò spinge Papa Paolo IV ad istituire il “Ghetto” al fine di accentuare la separazione piena dai cristiani; il suo successore Gregorio XIII obbliga gli ebrei ad assistere ogni sabato alle “prediche forzate”; Sisto V dal canto suo invece cerca di ampliare le attività economiche all’interno del ghetto introducendo l’arte della seta.

Nel corso dell’Ottocento migliorano le condizioni di vita degli ebrei – grazie all’opera di Papa Gregorio XVI e di Papa Pio IX – e anche il rapporto con il popolo romano – grazie soprattutto all’opera di Angelo Brunetti, detto Ciceruacchio.

Durante i moti del ’48 (e in particolare a seguito della Repubblica Romana nel 1849) agli ebrei vengono garantite libertà e diritti eguali agli altri cittadini. Dopo l’Unità d’Italia e la Breccia di Porta Pia (1870) gli ebrei romani sono equiparati agli altri cittadini ma cominciano a emergere i numerosi problemi sociali ed organizzativi derivati da trecento anni di ghetto, per cercare di risolvere i quali si prevede la completa distruzione del ghetto e il risanamento della zona ad esso relativa.

A partire però dai primi decenni del Novecento inizia una campagna antisemita e nel 1938 vengono emanate le infami “leggi razziali” che segnano l’inizio di una gravissima tragedia per l’umanità tutta.

Abbiamo informazioni sugli ebrei (o giudei) a Roma, fin dal 139 a.C., ma tra i primi scrittori latini che li menzionano ci sono Cicerone (106-43 a.C.) e Varrone (1 16-27 a.C.). Cicerone nomina gli ebrei nel Pro Flacco del 59 a.C. e nel De Provinciis Consularibus dei 56 a.C. e considera la loro religione una superstite.

Polemicamente, considera gli ebrei un popolo di schiavi, ma con un certo rispetto: Sua cuique civitati religio est, nostra nobis (Pro Fiacco, 28). Varrone tratta il culto ebraico con rispetto, proprio perché opposto a ogni rappresentazione plastica o pittorica della divinità. Tibullo (55 ca.- 19 a.C.) allude solo al sabato ebraico. Orazio ( 65-8 a.C.) nota il fervore missionario degli ebrei, ma anche la loro semplicioneria.

Livio (64 a.C. – 12 d.C.) conosce il Tempio di Gerusalemme e il culto ebraico, del quale fa risaltare l’unicità. Ovidio (43 a.C. – 17-18 d.C.) menziona il sabato, come fa dcl resto anche lo stesso imperatore Cesare Augusto (63 a.C. – 14 d.C.) che ne parla come giorno di digiuno  in una lettera a Tiberio (42 a.C. -. 37 d.C.). Sotto Tiberio (14-37), per l’influsso del potente Seiano, i giovani ebrei di Roma sono deportati in Sardegna per combattere il brigantaggio già allora imperante nell’isola. il Senato decretò che tutti i giudei che non abiurassero la loro fede fossero banditi dall’italia e che i loro oggetti di culto fossero confiscati.

Tuttavia il decreto non fu applicato e, nel 31, dopo la morte di Seiano, gli editti protettivi di Cesare prima e di Augusto dopo furono riconfermati. Sotto Caligola (37-41) ebbero luogo insurrezioni giudaiche in Israele e in Egitto, contro la pretesa dell’imperatore che voleva essere adorato come un dio e aveva fatto erigere una sua statua nel Tempio.

Una più ampia panoramica sulla storia degli ebrei è dovuta a Pompeius Trogus, storico romano di origini celtiche, del tempo di Augusto, che descrive origini e federazione ebraica, ma anche caratteristiche topografiche della Giudea.

Considera l’antico trattato tra Giudea e Roma (del i 61 a.C., del tempo dei Maccabei) un decisivo passo avanti verso l’indipendenza del popolo dal giogo ellenista dei seleucidi. Un’ostilità, anche frontale, per gli ebrei si svilupperà tra gli scrittori romani solo più tardi, iniziando con il pensatore Seneca (4 a.C. – 65 d.C.); con il retore Quintliano (35 ca. – 99); con lo storico Tacito (ca. 55-120 d.C.) e finalmente con Giovenale (morto attorno al 127 d.C.), in epoca cristiana, ma in cui l’attrazione anche verso il giudaismo raggiunge il vertice e molti romani, uomini e donne, spesso dell’aristocrazia, accolgono credo e pratiche sia giudaiche che cristiane che, secondo un punto di vista tradizionale romano, minavano le stesse fondamenta della società.

Tacito fa risaltare l’odio degli ebrei (e di altri popoli orientali ai quali li associa) verso gli altri e la solidarietà tra loro. I loro proseliti, imparando a comportarsi da ebrei, diventano, similmente sdegnosi verso gli dei e indifferenti al benessere della patria e delle stesse loro famiglie di origine. Con apparente neutralità, Tacito evidenzia pure la concezione monoteistica e l’opposizione degli ebrei a ogni rappresentazione della divinità.

Ma nella descrizione del governo romano della Giudea, lo storico romano non insiste sui carattere ribelle o insubordinato dei giudei; biasima piuttosto la corruzione dei procuratori romani, quali Felice e Floro, e la collega allo scoppio della tragica guerra giudaica (66-70 d.C.), che finisce con la distruzione dei Tempio a Gerusalemme.

Del governatore romano Felice (Antonius Felix) si parla a lungo in Atti da 23,24 a 2514. Felice era stato un liberto, ossia un ex schiavo, che era divenuto importante sotto l’imperatore Claudio (morto, forse avvelenato, attorno al 54). Era il marito di Drusilla (che era giudea) e procuratore romano della Palestina negli anni, pressappoco, 52-60. a.c.

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